Intervista - Il pensiero di Osamu Suzuki

Osamu Suzuki è scomparso il 25 dicembre 2024. Vi proponiamo l'intervista esclusiva concessa dal patriarca della Casa di Hamamatsu al nostro direttore, Gian Luca Pellegrini, pubblicata su Quattroruote di marzo 2018.

Caso anomalo, nel panorama dell'industria dell'auto, quello della Suzuki. Si contano infatti sulle dita di una mano, senza arrivare a interessarle neppure tutte, le aziende il cui controllo resta ancora oggi saldamente nelle mani della famiglia che le ha fondate. Per questo, Quattroruote ha voluto assegnare alla dinastia Suzuki, costituita in primis da Osamu, chairman dell'azienda, e dal figlio Toshihiro, che ne è amministratore delegato, il Premio Gianni Mazzocchi 2018. Che il secondo è venuto a ritirare direttamente dalle mani del presidente della nostra casa editrice, Giovanna Mazzocchi Bordone; mentre Osamu, 88 anni, ci ha rilasciato questa (rarissima, vista l'indole schiva del personaggio) intervista nella sede della Suzuki, ad Hamamatsu. Una conversazione nella quale, come vedremo, il patriarca non è risultato né dubbioso né reticente, anche su aspetti delicati come la questione del fallito accordo con la Volkswagen, i recenti scandali che hanno minato l'immagine dell'industria giapponese del settore e la sorte del diesel, condannato a suo parere a morte sicura. E nella quale, soprattutto, ci ha rivelato un'incrollabile certezza: che la Suzuki, nona azienda mondiale del settore per volumi di produzione, è tutt'oggi pienamente padrona del proprio destino. Un'indipendenza che intende difendere dopo la scottante vicenda della cessione del 19,9% alla Casa di Wolfsburg, poi rientrata con immutato orgoglio, motivato anche dall'originalità delle scelte del brand, tecniche e stilistiche.

La Suzuki è uno dei pochissimi gruppi mondiali nel mondo dell'auto, ma non solo, nel quale il nome della famiglia è ancora importante. Ci sono altri casi, come i Quandt nella BMW, i Ford, naturalmente gli Agnelli nella Fiat; nessuna di queste dinastie, però, ha mantenuto il controllo totale sulle operazioni, come accade invece alla Suzuki. consapevole di questa unicità? E quanto a lungo può durare, in un mondo che sembra invece privilegiare soprattutto la scelta di affidarsi a management esterni?
Le grandi aziende come la Ford e la BMW hanno una lunga storia e ci sono altri marchi che ne hanno una che arriva a più di cento anni, mentre noi ne contiamo 97. Se ci confrontiamo con loro, la nostra storia è più giovane; tuttavia, nel caso di piccole aziende che passano da genitore a figlio, la crescita può essere più veloce, perché il sistema decisionale, che io chiamo top-down, è molto chiaro. Alla Suzuki, in quasi un secolo, abbiamo avuto solamente un presidente circa ogni trent'anni. Che cosa accadrà nei prossimi cento, non possiamo saperlo. Certo, la storia della Suzuki si è sviluppata dal fondatore al genero, al genero successivo e a quello ancora successivo. Per cui, legalmente parlando, si tratta di un affare di famiglia, anche se la successione non è avvenuta necessariamente per discendenza di sangue, visto che quattro sono stati i generi adottati dalla dinastia Suzuki. E io costituisco uno di questi casi.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di un business gestito in questo modo?
Questa Casa non è stata creata da me. Mi è stato dato il compito di condurla. Con la missione di affidarla, a mia volta, al successore. Nella gestione, per me non ha mai contato il fatto di essere il figlio o il nipote di qualcuno. L'importante è sviluppare il business in maniera sana ed equilibrata, non coltivare un'idea dinastica della successione. In questo, credo che siamo simili agli altri costruttori.

Per quanto riguarda, invece, la visione dell'industria attuale dell'auto, si fa un gran parlare di alleanze e della necessità di stabilire delle partnership, anche finanziarie, per sostenere i costi, diventati ingenti, dello sviluppo tecnologico. La Suzuki è esperta nelle partnership, però finanziariamente rimane tutt'oggi autonoma. possibile rimanere indipendenti in questo mondo o no?
Non possiamo conoscere il futuro. Ma faremo di tutto per mantenere l'indipendenza dell'azienda.

Quindi l'accordo firmato poco tempo fa con la Toyota si limiterà a una partnership di tipo essenzialmente tecnico? Oppure potrà, invece, evolvere anche in qualcos'altro?
In questo momento, abbiamo un'alleanza relativa ad alcune tecnologie legate all'ambiente, alla sicurezza e all'information technology, ma ribadisco l'intenzione di mantenere la nostra indipendenza.

Perché, invece, negli anni scorsi l'alleanza con la Volkswagen non ha funzionato?
Perché la Volkswagen ci ha detto una bugia e non ha rispettato il contratto. Per esempio, nel caso del diesel ha compiuto delle manipolazioni di cui non eravamo al corrente.

Lei pensa che i recenti scandali abbiano avuto un costo in termini di credibilità per l'intero settore dell'automotive, con riflessi importanti agli occhi dei consumatori? Nel caso della Suzuki, abbiamo effettivamente violato la legge. Tuttavia, quanto compiuto non ha avuto conseguenze sulla qualità e, quindi, neppure sulla soddisfazione del cliente.

Ha citato, sfiorandoli, altri scandali che hanno interessato l'industria dell'auto, come per esempio quello della Kobe Steel relativo alla qualità dell'acciaio impiegato per la produzione di molte vetture: pensa che il comparto possa avere, in Giappone, un problema di carattere sostanzialmente etico?
Non credo. La Kobe Steel non ha seguito le regole sulle omologazioni, ma ciò non ha determinato conseguenze a livello qualitativo. Non c'è un tema etico che riguardi l'intera industria giapponese, ma soltanto problemi che interessano aziende specifiche.

Una delle conseguenze del dieselgate è il fatto che il diesel, come tecnologia, sta perdendo progressivamente importanza: a questo si aggiungono le politiche di alcune amministrazioni delle grandi metropoli, dichiaratamente ostili a questo tipo di propulsori. Pensa che siano destinati a scomparire interamente nel volgere di un breve arco temporale?
Sì, la domanda indubbiamente diminuirà e il diesel scomparirà dal mercato.

Come vede il processo che porterà al futuro dell'auto, agli ibridi e all'elettrificazione?
Ci sono tre aspetti importanti che riguardano i veicoli elettrici. Il primo problema è legato alla materia prima per produrre le batterie agli ioni di litio, il cobalto, che si trova principalmente in Congo: l'offerta di questo minerale non è sufficiente per soddisfare interamente le richieste dell'industria. Il secondo problema riguarda la politica energetica: basti pensare a Paesi come l'India dove già oggi spesso l'elettricità è razionata, senza contare i costi infrastrutturali. Il terzo problema concerne lo smaltimento degli accumulatori. Dunque, la conversione alle auto elettriche richiederà ancora del tempo: prevedo che arriverà in un arco temporale compreso fra il 2050 e il 2060.

Dunque, le auto elettriche si faranno attendere, mentre il diesel è destinato a una fine sicura. Quindi ne deriva che lo sviluppo delle tecnologie propulsive è affidato esclusivamente ai motori a benzina e ai sistemi ibridi
Passo dopo passo, l'ibrido diventerà sempre più forte e assumerà un ruolo principale nell'industria dell'auto.

anche per questo che avete sottoscritto la partnership con la Toyota?
No, questa partnership non è limitata soltanto alle tecnologie per i motori: per sopravvivere, bisogna guardare le cose ad ampio raggio. Per esempio, come si concilia la tendenza a voler fermare le centrali nucleari che sta crescendo in Paesi come gli Stati Uniti e la Germania con la maggior richiesta di energia elettrica che potrebbe venire dalle automobili a batterie?

Sempre parlando di tecnologie, che cosa pensa dell'evoluzione verso la guida autonoma?
Per prima cosa, credo che sarà sviluppata su base continentale, secondo i mercati, e che verrà applicata prima ai bus, che compiono sempre lo stesso percorso, perché in questo modo può essere realizzata più rapidamente. Nel caso delle auto normali, invece, non arriverà tanto in fretta.

Quindi, la sua visione del futuro dell'automobile, alla fine, è ancora abbastanza tradizionalista
Sì, confermo che è proprio così.

La sua è stata una carriera lunghissima, costellata d'innumerevoli successi: vuole raccontarci qual è stato il principale motivo di orgoglio nell'esercizio della sua professione?
Nel 1979 presentammo un nuovo modello, la Suzuki Alto; prima del suo arrivo, il prezzo medio in Giappone di un'auto simile era di 600 mila yen, mentre la nostra ne costava solamente 475 mila. Questo diventò la base dello sviluppo della Suzuki come costruttore di automobili, perché per la prima volta il numero delle vetture da noi prodotte arrivò a superare quello delle motociclette. Ed è proprio questo ciò di cui mi sento più orgoglioso.

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